Biografia
Anni Venti
Edoardo (Dady) Orsi nasce a Genova nel 1917. È figlio di Emilio (Milo) Orsi, avvocato lombardo, e della nobildonna di origini francesi Beatrice (Bice) Beuf, nota pittrice e miniaturista. Nel 1922 la famiglia Orsi si trasferisce a Venezia. Nella città lagunare i coniugi Orsi cominciano a frequentare con assiduità il pittore Guido Cadorin che, affascinato dalle fattezze di Bice, la sceglie come modella. Il Maestro veneziano incoraggia il giovane Orsi a familiarizzare con i colori e le mestiche da lui utilizzate, permettendogli di frequentare lo studio durante le lunghe sessioni di lavoro con la madre. Questa consuetudine contribuirà a suscitare nella mente del fanciullo il desiderio di diventare a sua volta un pittore. Sempre grazie a Cadorin, gli Orsi vengono in contatto con Gabriele D’Annunzio ed entrano a far parte del suo circolo esclusivo 1.
L’ambiente privilegiato in cui il giovane Orsi cresce, incide profondamente sulla formazione del suo carattere. Nella grande casa del Lido di Venezia non solo vive nell’agiatezza ma, grazie alla liberalità dei genitori, è esposto a molte influenti personalità del tempo. L’accesso alla ricchissima biblioteca di famiglia gli permette di soddisfare ogni sua curiosità intellettuale; lì nasce il suo amore per la letteratura e la passione per il collezionismo, propria anche dei genitori. A Venezia il futuro artista dimostra un carattere aperto, gioviale, curioso e spiritoso. La prematura scomparsa del padre nel 1934 pone bruscamente fine all’infanzia dorata. Le finanze della famiglia non sono più così floride e Bice decide di trasferirsi con i figli a Milano. Per il diciassettenne Orsi questa scelta è lancinante. Nonostante il legame profondo che egli saprà instaurare con il capoluogo lombardo, porterà sempre con sé la nostalgia dei paesaggi acquatici dei luoghi della sua infanzia, che riaffioreranno periodicamente nella sua opera.
- Dady Orsi (1966) mappa assonometrica della città di genova particolare, la casa natale © cosma orsi
- 1924 Dady Orsi all’età di 7 anni
- 1925 Emilio Orsi
- 1925 Beatrice Beuf
Nel capoluogo lombardo si accende la passione per il vetro. Grazie al rapporto di conoscenza tra la madre e Pietro Chiesa, dopo aver lavorato per un breve periodo come giardiniere presso l’orto botanico di Brera, nel 1935 Orsi comincia a lavorare come ragazzo di bottega nel laboratorio di FontanaArte. In quest’occasione incontra Giacomo Manzù che sta elaborando alcune sculture in vetro insieme a Erwin Walter Burger. Presso FontanaArte si eseguono anche complementi d’arredo e oggetti decorati con pittura e oro sotto-vetro, tecnica che Orsi apprende per poi riproporla con rivisitazioni del tutto personali a partire dalla metà anni Sessanta. Questa esperienza lo convince definitivamente a intraprendere gli studi artistici presso l’Accademia di Brera, sotto la guida di Aldo Carpi. Lì incontra Ennio Morlotti, Bruno Cassinari, Franco Francese, Francesco Messina, e Fulvio Bianconi, con i quali manterrà un legame importante per il resto della vita. Nel contesto milanese avviene soprattutto l’incontro con Piero Fornasetti: con lui stringerà una forte amicizia che, nel corso del tempo, darà luogo a un fecondo sodalizio artistico.
- Guido Cadorin (1926) Bice e Milo Orsi. Hotel ambassador, Roma
- Guido Cadorin (1926) ritratto di Bice Orsi
- Bice Beuf (1932) Dady Orsi che legge
- 1932 interno di Casa Orsi – lido di venezia
- 1929 Dady con sua sorella Vera
Anni Trenta
A Brera incontra anche un’allieva di Francesco Messina, Gabriella Masino Bessi, che sposerà nel 1942 e che gli darà i suoi primi due amatissimi figli, Giovanni Battista (detto Titta) e Andrea. Nel 1937 Carpi comincia a lavorare alla Vetrata di Davide del Duomo di Milano affiancato, per la parte tecnica, da Chiesa, per il quale Orsi lavora2. L’esperienza nell’arte vetraria sarà fondamentale per il proseguo della carriera. Nella sua arte, infatti, resterà costante la concezione della sua immagine per aree di colore chiuse e definite, tipica della vetrata. Nel 1938 Orsi si reca per alcuni mesi a Salerno dove frequenta la Scuola Allievi Ufficiali. Quell’anno è difficile e doloroso: il regime mostra il suo aspetto più crudo, muscolare e totalitario culminando nel dramma delle leggi razziali.
- 1935 c. Dady Orsi adolescente
- Fulvio Bianconi (1937) ritratto con dedica
- Franco Francese (1938 c.) ritratto di Gabriella Masino Bessi
- 1938 Dady Orsi a Salerno
Per fronteggiare il senso di profonda inquietudine politica, nel capoluogo lombardo nascono alcuni focolai di dissenso organizzato – tra i quali va annoverato il gruppo di Corrente (1938–40) e il gruppo sperimentale Palcoscenico (1941) – con cui il giovane artista ha significativi rapporti.
In questo periodo la sua arte prende le distanze dalla retorica fascista rivolgendosi piuttosto al racconto poetico dell’esperienza umana: rifugge il racconto eroico, la scala monumentale e la tendenza retorica. Così facendo Orsi comincia a rappresentare persone, oggetti e ambienti a lui familiari in una maniera che possiamo accostare a quello che Raffaele De Grada, critico legato a Corrente, definirà «realismo selettivo». Fortemente influenzato da Gauguin, dal Picasso del Periodo Rosa, da Matisse e Bonnard, lo stile di Orsi ha importanti analogie con quello degli artisti che gravitano attorno al movimento fondato da Ernesto Treccani.
Anni Quaranta
I primi anni Quaranta sono segnati dall’esperienza della guerra: chiamato alle armi nel 1940 presta servizio a Milano con il grado di sottotenente di fanteria. Con difficoltà, continua a coltivare la pittura e il disegno. Nel 1941, in qualità di scenografo partecipa (insieme a Luigi Veronesi) al gruppo sperimentale Palcoscenico, fondato da Paolo Grassi e Franco Parenti e finanziato da Ernesto Treccani. I suoi rapporti con noti antifascisti tra i quali spiccano Vando Aldovrandi, Treccani e Raffaellino De Grada confermano i sospetti su di lui da parte del regime che lo sorveglia da tempo. Per spezzare quelle frequentazioni le autorità lo distaccano nuovamente a Salerno nel battaglione antisbarco. Dopo l’8 settemmbre, Orsi si rifugia in Svizzera nel campo di internamento di Rapperswil dove ricomincia a dedicarsi con rinnovata intensità alla pittura. Grazie all’interessamento di Amintore Fanfani, infatti, Orsi ottiene la commessa di decorare con un ciclo dedicato alle Storie del Vangelo la cappella cattolica di Chexbres. Orsi progetta accuratamente la decorazione senza però realizzarla: spinto dal pressante desiderio di rivedere la moglie e il primo figlio Giovanni Battista da poco nato, si precipita a Milano dove vivrà in clandestinità per quasi un anno sotto le mentite spoglie di Carlo Garlaschi, esponendosi a gravi pericoli.
- 1941 Dady Orsi in divisa
- 1944 F. Masino-Bessi, documento falso utilizzato in clandestinità
- 1952 Andrea e Titta Orsi con Alessio Altichieri nella bottega antiquaria di Sandro Orsi
Federico Patellani © studio Federico Patellani
Nell’immediato dopoguerra Orsi opera soprattutto come disegnatore; in questa veste nel 1947 partecipa al premio Diomira con una piccola opera eseguita nel 19443. Gli oneri familiari e le durezze del periodo lo spingono a intraprendere la professione di grafico. In breve tempo instaura rapporti con diverse case editrici. Collabora per oltre 15 anni con Aldo Martello, creando copertine di libri e illustrazioni; con la DeAgostini lavora a una fortunata serie di mappe in continuità con lo stile del Maestro russo Vsevolod Nikulin4. Oltre all’editoria, Orsi cura l’immagine grafica coordinata di alcune importanti aziende. Come art-director del Cotonificio Fossati–Bellani esegue manifesti pubblicitari, cura cataloghi e progetta allestimenti di fiere nazionali e internazionali. A partire dalla fine degli anni Quaranta, l’impegno nel campo della grafica industriale si fa sempre più intenso così come la collaborazione con le case editrici. Insieme con la moglie, Franco Francese e il fumettista Fernando Tacconi fonda il periodico Goal (1949), in cui i momenti salienti delle partite di calcio sono illustrati a fumetti. Soprattutto, cominciano le collaborazioni con Farmitalia, Beretta Armi, Colmar, e Riva Motoscafi5.
- Dady Orsi (1944) fiugura femminile, civiche raccolte del Castello Sforzesco
- 1949 Dady Orsi nel suo studio grafico alla Fossati-Bellani
Federico Patellani © studio Federico Patellani
Anni Cinquanta

- 1950 cerimonia di presentazione dei Saltimbanchi
- Dady Orsi (anni ’50) decoro di cuscini per motoscafo riva © lycam
- 1952 Gabriella Masino Bessi con una Scultura Alluvionale – Tempo
Federico Patellani © studio Federico Patellani - 1955 Dady Orsi e Gina Lollobrigida
Federico Patellani © studio Federico Patellani - 1960 C. Mariagrazia Bassi
- 1955 Dady con Bruno Cassinari e Aligi Sassu – Tempo
Federico Patellani © studio Federico Patellani
È solo nel 1950 che torna alla pittura in grande stile, con una decorazione per il ristorante più iconico della Milano dell’epoca: il Savini. L’architetto Ricci, tra i curatori del restauro del tronchetto nord della Galleria Vittorio Emanuele, lo presenta al proprietario del locale, Angelo Pozzi, che gli commissiona un dipinto di notevoli dimensioni: I Saltimbanchi. Un’opera che risente profondamente sia dell’influenza di Carpi sia di Gianfilippo Usellini e che testimonia la permanenza dei principi formali che Orsi condivideva con Corrente. Pienamente immerso nel mondo dell’arte e della cultura milanese, frequenta la galleria d’arte Il Milione e quella di Ettore Gianferrari. È habitué della Libreria Internazionale Einaudi e della Libreria San Babila, dirette rispettivamente da Vando Aldrovandi e Bepi Battaglini. In questi crocevia d’arte e cultura milanesi stringe vecchi e nuovi legami con artisti e intellettuali dell’epoca. Frequenta Giuseppe Ajmone, ritrova Fulvio Bianconi e lo scultore Luciano Miori. Continua a frequentare gli amici dei tempi di Brera Francese e Treccani, così come le personalità del mondo della letteratura quali Eugenio Montale (che conosceva dall’infanzia passata a Genova), Salvatore Quasimodo, Alfonso Gatto e Giovanni.
Testori, ai quali lo uniscono affinità culturali, teatrali e artistiche. Uno dei momenti più emozionanti di questo periodo è la visita alla mostra di Picasso in Italia, tenutasi nei saloni di Palazzo Reale ancora sventrati dai bombardamenti, dove il pubblico italiano poté vedere per la prima volta Guernica. Picasso è in assoluto il pittore al quale Orsi si sente più debitore. Questo fertile humus suscita nell’artista una vera e propria esplosione di creatività: tra il 1953 e il 1956 realizza una notevole quantità di opere dallo stile estroso e spigliato. In molte di queste emerge una peculiare sensibilità per la figura femminile, vista con tenerezza e incanto, di cui sarà interprete felice per tutta la sua carriera. In concomitanza con la rinnovata spinta creativa inizia una stagione di esposizioni che vede l’artista tra i protagonisti del mondo dell’arte milanese. Di grande impatto è la mostra presso la Galleria Montenapoleone (1953) dove espone le cosiddette Sculture Alluvionali, frammenti lignei raccolti sulle sponde del Lago Maggiore, sulle cui forme interviene pittoricamente conferendo loro vitalità e sembianze animali6. Quanto Orsi fosse affermato nell’ambiente milanese, e non solo, è attestato dalla sua partecipazione alla mostra Una modella e 27 pittori (1957) documentata da un filmato dell’Istituto Luce7.
La figura umana (specialmente quella femminile) rimane centrale per tutti gli anni Cinquanta. L’apparente facilità con cui l’artista la evoca è piuttosto un’elegante sprezzatura. D’altro canto, Orsi non si focalizza su un unico registro stilistico. Il biennio 1957–58 è infatti contrassegnato dalla ricerca intorno al tema della natura morta e a quello del paesaggio, indagati nelle loro componenti geometriche, fino a giungere a esiti prossimi all’astrazione. Come per la figura umana, anche l’indagine degli oggetti e dello spazio avviene all’insegna della sintesi e della leggerezza: in questo periodo Orsi è più prossimo alla lievità di Fausto Melotti piuttosto che alla solidità descrittiva di Renato Guttuso o alla matericità di Morlotti. Questo processo di rarefazione sfocia nelle così dette Lettere dal Futuro (1959), unica serie di opere astratte prodotte da un artista che, a fine carriera, rivendicherà con convinzione la sua scelta figurativa, in opposizione a qualsiasi indulgenza a quanto la moda dei tempi o il mercato richiedessero8. Gli anni Cinquanta sono segnati da un evento nella vita privata di Orsi che influenzerà in maniera decisiva la sua carriera artistica: l’incontro, nel 1956, con Mariagrazia (Megy) Bassi. La giovane artista, allora diciottenne, diventerà di lì a breve la sua musa ispiratrice, compagna di vita e partner artistica in molti progetti. La circostanza che li fa incontrare è legata a uno dei progetti grafici più ambiziosi della sua carriera. Nel 1955, per conto della Banca Popolare di Milano, l’economista Pasquale Saraceno gli commissiona la realizzazione di una mappa assonometrica della città di Milano. È un’impresa estremamente complessa, non solo sotto il profilo artistico: la realizzazione è resa possibile proprio grazie alla collaborazione di un’assistente dallo spiccato talento grafico e organizzativo, quale era la giovane Bassi. Il progetto riscuote un tale successo che la coppia dedicherà i successivi 15 anni a preparare le mappe di Roma, Torino, Genova Firenze e Venezia, seguendo nella scelta il percorso “stendahliano”9.
- Dady Orsi e Annette Stabilini alla Galleria Montenapoleone
Federico Patellani © Studio Federico Patellani
Anni Sessanta
Nella prima metà degli anni Sessanta Orsi svolge in solitaria la sua esplorazione del figurabile. Tra il 1963 e il 1964 realizza l’imponente serie delle cosiddette Menine, ispirata alla rivisitazione che Picasso fa del capolavoro di Velazquez (1957). Qui Orsi declina il suo sguardo sulla figura femminile in maniera magica e simbolica, eseguendo variazioni sul tema riproposto dal pittore di Malaga ma messe in scena in nuovi panni e in nuovi contesti. È questa la fase in cui inizia l’elaborazione di un discorso ‘prepostmoderno’10 Nella seconda metà del decennio, Orsi produce una gran mole di disegni ispirati all’antichità, ma soprattutto comincia a esplorare la tecnica della pittura sotto-vetro.
Nei venticinque anni che seguiranno, i soggetti da lui prediletti saranno strumenti musicali, raggi di luce, chiavi e orologi, nudi femminili (che accostati alla fragilità del vetro possono essere interpretati come un richiamo alla fragilità della vita umana, Vanitas) e, soprattutto, stanze che l’artista raffigura come ‘spazi’ mentali11. È un periodo di euforia personale ed artistica propiziato da quattro significativi episodi: la nascita del terzo figlio Cosma (1966), le nozze con Megy Bassi (1968), il conseguente trasferimento dalla piccola casa di Via Chiossetto alla più ampia residenza della famiglia Bassi (1968), e l’acquisto della casa di Bonassola (1969) dove la coppia trascorrerà gran parte del proprio tempo libero12.
- Dady Orsi (1964) Menina
- Pablo Picasso (1958) Las Meninas
- Dady Orsi (1968) Odalisca
La nuova dimora milanese viene decorata con oggetti di design artigianale appositamente concepiti. Ha a diposizione un’ampia dépendance in cui colloca un grande torchio antico e un tirabozze, strumenti che servono alla coppia per realizzare stampe nelle tecniche più disparate. A partire da questo momento, Orsi incarnerà pienamente la figura dell’Homo Faber producendo un limitatissimo numero di manufatti unici, talvolta frutto di ritrovamenti casuali, non finalizzati alla riproducibilità in serie13.
- 1968 Cosma il terzo figlio dell’artista
- 1968 La nuova casa
- 1971 Torchio antico
Anni Settanta
Un ulteriore spartiacque nella vicenda artistica di Orsi è l’interruzione della sua collaborazione con Carlo Riva (1972). Riappropriatosi del suo tempo, subito decide di aprire, assieme agli amici Giovanni e Giovanna Trocano, una scuola d’arte per bambini e adolescenti, lo Studio Blu. L’esperienza è breve ma intensa, e il metodo didattico è basato sulla valorizzazione della naturale creatività dei giovanissimi alunni14. Soprattutto, l’abbandono dell’attività professionale di grafico permette a Orsi di tornare a essere un pittore a tempo pieno che espone regolarmente la sua opera. La sua re-immersione nella pittura avviene all’insegna della massima libertà: nessuna adesione a correnti o gruppi. Il suo linguaggio è improntato a un ritorno al mestiere – a cavallo tra realismo e simbolismo – che solo pochi artisti praticano in quel periodo. La sua è una pittura colta, ma non intellettuale. A fornirgli una nicchia di pubblico cui presentare le sue opere è Beppe Mainieri, nella sua galleria di via Bigli, dove nel 1975 ospita i suoi nudi femminili. I corpi dipinti da Orsi esprimono un erotismo realistico in contrasto con le tendenze fino ad allora predominanti nell’arte. Al 1976 risale il tributo dell’artista a Eadweard Muybridge, un ciclo pittorico di dodici pannelli di grandi dimensioni, frutto dell’incontro tra due fonti apparentemente incompatibili: la cronofotografia di Muybridge e il realismo simbolico di Holbein15.
- 1974 Scogliere di Bonassola
- Dady Orsi (1978) Scogliera – Galleria Barozzi
- 1977 Dady Orsi e Giovanni Trocano – Galleria Graphica Club
- 1977 lo studio di pittura
Oltre che alla pittura, Orsi si dedica alla stampa con assiduità. Utilizzando un torchio e un tirabozze antichi di sua proprietà produce calcografie, acqueforti e puntesecche, linografie, litografie. La sua conoscenza delle tecniche incisorie e di stampa lo porta a sperimentare l’utilizzo di matrici in materiale plastico che gli permettono di combinare litografia e monotipo. Le linee del disegno sono fissate nella matrice, mentre l’inchiostratura è frutto di un vero e proprio lavoro pittorico operato dalla moglie Megy. È questa metodologia che consente ad ogni esemplare della tiratura di trasformarsi in un unicum. Alcune di queste particolari serie litografiche, in special modo quelle ispirate al mondo della pittura vascolare greca, alle illustrazioni naturalistiche e alla giocosa potenza di Eros, divengono il soggetto della mostra I Simultanei, tenutasi nel 1976 presso la Libreria Internazionale Einaudi.
- Dady Orsi (1978) Marina – Galleria Barozzi
- Dady Orsi (1989) I Cieli Di Bonassola – Galleria Barozzi
In quegli stessi anni, l’amicizia con Piero Fornasetti si trasforma in un vero e proprio sodalizio artistico. Presso la Galleria dei Bibliofili Fornasetti ospita spesso l’amico e compagno di giochi intellettuali. Qui Orsi espone ripetutamente i nudi femminili. Alla fine degli anni Settanta, quando l’arte erotica di Lautrec, Klimt e Schiele non suscita ancora l’interesse del pubblico mainstream, Fornasetti espone una monumentale serie di pastelli erotici di grandi dimensioni, raffiguranti donne in pose esplicite che celebrano senza ipocrisia il trionfo della sensualità moderna. Anche la poesia simbolica e metafisica dei dipinti sotto-vetro, con il loro repertorio di wunderkammer magiche, è amatissima da Fornasetti: i sotto-vetro trovano sempre un posto nelle esposizioni collettive ai Bibliofili.
Anni Ottanta
A cavallo tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta, il ritorno al mare e alle origini liguri entra in maniera preponderante nella produzione artistica di Orsi. I lunghi periodi trascorsi dall’artista sulla costa dell’amata Liguria ispirano una copiosa produzione di paesaggi marini. Il confronto con gli elementi del litorale levantino innesca una ricerca sulla forma contorta delle rocce, su quella possente delle onde, sulle stratificazioni geologiche: attraverso la stilizzazione e l’interpretazione della forma naturale l’artista ritrae un mare aspro tra i cui flutti si consumano vicende drammatiche16. Dopo le marine è la volta degli Spazi Naturali: paesaggi della campagna ligure interpretati per pure aree di colore e ridotti alle loro forme semplici, nel solco di Cézanne, Picasso, Matisse e Mondrian17. L’idea nasce dal confronto con l’amico Lodovico Meneghetti, architetto e designer legato allo Studio Gregotti che, in alcuni scritti critici elaborati a partire dal 1984, riconosce all’amico non solo una «intenzionalità molto elevata» espressa attraverso un «procedimento definito», ma anche una sincerità nel percepire straordinariamente lo spazio e l’anima dei luoghi. Alla fine degli anni Ottanta risalgono i taccuini di acquerelli dedicati ai Cieli di Bonassola, che si rimescolano in macchie e colori sempre diversi sopra una piccola striscia di mare.
- 1981 Nuda in dodici quadri – Omaggio a Muybridge allestimento dei dodici nudi presso la Galleria Dei Bibliofili
- Dady Orsi (1980) Pierrot – Galleria arte e architettura
- Dady Orsi (1984) Giardino – Galleria Schubert
Continua la consuetudine con la pittura sotto-vetro, ma con una novità: le dalles – lastre di vetro spesso, sagomate in forme curvilinee, in maniera quasi scultorea, dipinte sul retro a descrivere ciottoli, animali o personaggi. Questi oggetti sono una riaccensione dell’amore per la tecnica vetraria appresa in gioventù presso FontanaArte. Assieme ad alcuni manufatti scultorei e di arredo, le dalles testimoniano la mai sopita attenzione per il lato artigianale dell’arte, nonché il gusto dell’artista per la creazione di ambienti e atmosfere cariche di personalità. La predilezione per il pezzo unico, così come l’amore per l’arte più tradizionale e manuale sono una reazione al clima di avanguardia radicale degli anni Sessanta e Settanta. Orsi, infatti rifugge l’arte concettuale e l’arte povera, preferendo un approccio non militante, improntato all’inclusione di diversi metodi. Condivide questa sua visione con artisti e intellettuali non sistematici, che all’appartenenza e all’ortodossia preferiscono la qualità e la raffinatezza18.

- Piero Fornasetti Paolo Barozzi e Miro Silvera © Maria Mulas
- 1985 c. Dady Orsi con Giuliano Menegon e Rossana Bossaglia
Anni Novanta
- Dady Orsi (1995) Natura Morta – Galleria Blanchaert
- 1999 Dady Orsi nel suo studio all’età di 82 anni
- 1997 Locandina per l’esposizione del ciclo Stanze di un Museo. Oratorio di S. Erasmo – Bonassola
- Dady Orsi
Nel 1990 vede la luce il monumentale ciclo Le Stanze di un Museo. È un’operazione ricca di citazioni tratte dall’arte antica, in linea con le tendenze del periodo (Anacronismo). La stagione del “ritorno alla pittura” conduce anche alla riconsiderazione critica di artisti considerati outsiders, spesso molto affini a Orsi. Nelle Stanze, l’artista sceglie ventiquattro soggetti tratti da altrettante opere del passato. Una volta che le luci del museo immaginato dall’artista si spengono e i visitatori se ne sono andati, cosa faranno questi “personaggi”? A partire da questa domanda, Orsi fantastica tra di essi | 110 un’interazione giocosa, rivelando ancora una volta la sua vena ironica. Nell’immaginare una vita segreta delle opere d’arte Orsi getta inoltre uno sguardo ironico sul mistero, analogo a quello dei fratelli De Chirico. Mistero e simbolo sono una costante della produzione tarda di Orsi: non solo connotano la mai interrotta produzione dei sottovetro, ma riaffiorano anche in una nuova serie di nature morte. Dopo essersi dedicato a questo genere alla fine degli anni Cinquanta prediligendo il linguaggio astratto, ora si orienta verso una figurazione più classica e nel rappresentare gli oggetti a lui più prossimi, sceglie una pittura dai toni neutri e opachi. Caratterizzate dalla marcata ispirazione metafisica, queste opere vengono esposte presso la galleria di Jean Blanchaert e Marco Arosio, nel 1995. Dal 1998 la produzione dell’artista si dirada. L’ultima mostra è dedicata alle vedute della Ca’ Mera, la dimora del fratello presso l’antico borgo di Azzate.
Dady Orsi si spegne nel 2003, all’età di 86 anni, dopo una breve malattia.

1| Tra l’agosto del 1924 e il febbraio 1925 Cadorin soggiorna al Vittoriale per decorarne alcune sale. Bice lo raggiunge in ottobre: deve posare per uno dei ritratti «di cui si compone il grande soffitto a lacunari con il cerchio mistico delle cinque sante della visione poetica» [PIACENTI 2014]. Oltre a Cadorin, al Vittoriale lavora anche Pietro Chiesa, personaggio che eserciterà un altrettanto fondamentale influenza sugli sviluppi artistici di Orsi.
2| Dell’attività eseguita da Orsi in quell’occasione, così come della sua produzione per FontanaArte si è persa traccia.
3| Esposta presso la Galleria del Naviglio, l’opera è ora conservata presso le Civiche Raccolte Castello Sforzesco di Milano.
4| In questo periodo sono frequenti anche le sue collaborazioni con Mondadori e Vallecchi.
5| Per queste ultime due aziende disegna il marchio. La collaborazione con la Riva Motoscafi è per Orsi l’esperienza più duratura ed importante nel campo della grafica pubblicitaria. Assieme al fotografo Federico Patellani, Orsi coordina l’immagine grafica aziendale per più di un ventennio.
6| La mostra, promossa da Guido Cadorin e Federico Patellani, vede due repliche presso due gallerie svizzere: una personale e una a fianco delle opere del pittore e architetto Walter Jonas.
7| La modella d’eccezione Gina Lollobrigida, oltre che da Orsi venne ritratta da alcuni pittori di assoluto rilievo sulla scena nazionale (tra i quali Bruno Cassinari, Gianni Dova, Emilio Vedova, e Aligi Sassu).
8| Le Lettere vengono esposte nel 1960 presso la libreria Battaglini. Dopo questa mostra l’artista interrompe il suo coinvolgimento nel dibattito artistico. Non si riconosce, infatti, né nei linguaggi dell’astrazione radicale né in quelle tendenze Pop che si stanno imponendo al gusto contemporaneo.
9| Questo opus magnum si protrarrà per tutto il decennio successivo, per terminare nel 1972.
10| Il pre-postmodernismo di Orsi contempla, da un lato, un riallacciamento del rapporto con la storia, dall’altro un progressivo scostamento dalle ricerche più in voga in quel momento. prepostmoderno è anche la qualifica che Piero Fornasetti attribuisce a sé stesso nella raccolta di pensieri Certi paraventi sono stati disegnati due volte [FORNASETTI 2014: 13].
11| Tra la metà degli anni Sessanta e la fine degli anni Ottanta, nel panorama italiano Orsi sarà il più prolifico interprete di questa tecnica che lo porta ad approfondire una ricerca simbolica e metafisica quale non si riscontra nella sua produzione precedente, e che non abbandonerà più.
12| Proprio qui frequenterà l’ambiente dei pittori liguri, tra i quali Mauro Discovolo, Vittorio Magnani, Giuliano Menegon e Alberto Cavaliere.
13 | Il design artigianale è una pratica che, più di altre, lo lega all’amico Fornasetti. A quest’epoca risale anche l’esecuzione di un mobile-scenografia decorato con nature morte trompe l’oeil, che verrà ribattezzato da Fornasetti L’Armadio Civetta. Immerso nel periodo d’oro del design milanese, oltre che con Fornasetti Orsi è in contatto con Bruno Munari, mentre nel campo dell’arte su vetro ha significativi rapporti con Fulvio Bianconi. Sempre a questo periodo risalgono le frequentazioni con l’incisore Italo Zetti e Fabio Massimo Solari, Massimo Campigli, Giuseppe Migneco e l’editore Vanni Scheiwiller.
14| Questo approccio avrebbe di lì a poco connotato anche il metodo utilizzato da Bruno Munari (il suo primo laboratorio per bambini è del 1977), al quale lo accomunavano l’amore per i bambini e la profonda comprensione del loro modo di esprimersi.
15| In contrasto con la languida voluttuosità dei pastelli erotici, nelle dodici figure dal pallore marmoreo che formano questa monumentale opera, Raffaele Carrieri, intravide il paradossale erotismo della castità.
16| Tra i più entusiasti estimatori di questa produzione si annovera Paolo Barozzi che nel 1979 sceglie di esporre nei suoi spazi espositivi (a Milano e Venezia) i pezzi da lui più amati.
17| Questa serie di pitture viene esposta presso la galleria Schubert, nel 1985.
18| Tra di essi il poeta Miro Silvera, i critici e galleristi Philippe Daverio e Jean Blanchaert e Rossana Bossaglia.