Battesimo di Cristo (1944) cm 24,7×12,8 – Tempera su carta Nozze di Cana (1944) cm 20×44 – Tempera su carta Moltiplicazione dei pani e dei pesci (1944) cm 20×44 – Tempera su carta Resurrezione di Lazzaro (1) (1944) cm 20×44 – Tempera su carta Resurrezione di Lazzaro (2) (1944) cm 20×44 – Tempera su carta Gesù cammina sull’acqua (1944) 20 x 44 – Tempera su carta Crocifissione (1944) cm 34,5×22,5 – Tempera su carta Resurrezione di Cristo (1944) cm 22,5×17– Tempera su carta Conversione di Saulo (1944) cm 16,2×8,4 – Tempera su carta
I (1964) cm 35×24 – China e pastello grasso su carta II (1964) cm 35×24 – China e pastello grasso su carta III (1964) cm 35×24 – China e pastello grasso su carta IV (1964) cm 35×24 – China e pastello grasso su carta V (1964) cm 35×24 –China su carta VI (1964) cm 35×24 – China su carta VII (1964) cm 35×24 – China su carta
I (1976) cm 80×160 – Tempera su legno II (1976) cm 80×160 – Tempera su legno III (1976) cm 80×160 – Tempera su legno IV (1976) cm 80×160 – Tempera su legno V (1976) cm 80×160 – Tempera su legno VI (1976) cm 80×160 – Tempera su legno VII (1976) cm 80×160 – Tempera su legno VIII (1976) cm 80×160 – Tempera su legno IX (1976) cm 80×160 – Tempera su legno X (1976) cm 80×160 – Tempera su legno XI (1976) cm 80×160 – Tempera su legno XII (1976) cm 80×160 – Tempera su legno
I (1990) cm 160×160 – Tempera su tela II (1990) cm 160×160 – Tempera su tela III (1990) cm 160×160 – Tempera su tela IV (1990) cm 160×160 – Tempera su tela V (1990/1) cm 160×160 – Tempera su tela VI (1990/1) cm 160×160 – Tempera su tela VII (1990/1) cm 160×160 – Tempera su tela VIII (1991) cm 160×160 – Tempera su tela IX (1991) cm 160×160 – Tempera su tela X (1991) cm 160×160 – Tempera su tela XI (1991) cm 160×160 – Tempera su tela XII (1991) cm 160×160 – Tempera su tela










Le Storie del VangeloLe Storie del Vangelo
Lettere dal futuroLettere dal futuro
I bambini adorano sentirsi raccontare e riraccontare all’infinito le stesse storie […] perché parlano dei desideri, delle ansie e delle speranze più profonde degli esseri umani.
Asha Philips
Le opere di una serie sono unite dal contenuto e dal discorso formale, senza bisogno di sviluppare un racconto. Un ciclo è invece un insieme di immagini unite da un filo narrativo. Nel Novecento rari sono i casi in cui un artista abbia creato cicli narrativi, se non nell’arte religiosa o ideologica. Nella sua carriera Orsi produce cinque cicli: le Storie dal Vangelo (1943), le Lettere dal futuro (1959), la Danza Macabra (1964), l’Omaggio a Muybridge (1976) e le Stanze di un museo (1990). Talvolta i cicli derivano dalle serie: è in esse che egli individua gli elementi (o i personaggi) con cui sviluppare un racconto per immagini. Ad esempio, dall’imponente serie Le Menine, eseguita tra il 1963 e il 1964, nasce la Danza Macabra. Dalla serie dei nudi realizzati attorno al 1975 nasce l’Omaggio a Muybridge. Due i casi particolari: le Storie del Vangelo, che nascono da una commissione, e le Lettere dal Futuro, che derivano dalle sperimentazioni sul segno dei tardi anni Cinquanta. Le dodici Stanze di un Museo non derivano dalla sintesi del lavoro di una vita sulla rielaborazione delle immagini del passato. I cicli mostrano come l’artista abbia una vena letteraria che rifugge dalla narrazione di stampo illustrativo. Le sue immagini non sono mai descrizioni di un’azione circostanziata conseguente a un’altra, ma mantengono una vaghezza indefinita nel tempo. Un altro elemento colto, se non letterario è la citazione: i personaggi messi in scena dall’artista esistono già in altre pitture e in altre epoche. Come gli eroi di una favola di Italo Calvino, essi vengono resuscitati dal repertorio delle fiabe tradizionali per vivere una nuova, surreale avventura.
Nessuno ha mai dipinto, scolpito, modellato, costruito o inventato se non per uscire letteralmente dall’inferno.
Antonin Artaud
Il primo ciclo di cui si ha traccia è quello delle Storie del Vangelo, eseguito da Dady Orsi nel 1944. Amintore Fanfani, in qualità di “ufficiale culturale” di un campo profughi sito in Svizzera, si prodiga per far ottenere all’architetto Bassi e al pittore Orsi una commessa per ristrutturare e decorare la Cappella Cattolica di Chexbres. Orsi prepara alcuni bozzetti a tempera su carta, ma non termina l’opera a causa del suo precipitoso rientro in Italia. Il pittore porta a casa tutti i bozzetti tranne uno, che Fanfani tiene per sé (la figura di San Pietro). I bozzetti sono accomunati da un tema cristologico verosimilmente dettato dallo stesso Fanfani. Le scene raffigurate sono una Crocifissione, una Resurrezione, probabilmente una Conversione di Saulo e almeno tre Miracoli di Cristo. Dal punto di vista simbolico, queste scelte iconografiche sembrano essere un rimando a quel processo di cambiamento e rinascita che si stava compiendo in Italia attraverso la Resistenza. I Miracoli hanno formato longitudinale e sembrano pensati per le pareti laterali della cappella. Improntati a un modernismo che la pittura sacra italiana solitamente non accoglieva, sono caratterizzati da uno stile sintetico, da colori vividi e assenza di chiaroscuro. Nella composizione, nella resa espressionista dei corpi e nella rappresentazione di marca cubista dello spazio, la Crocifissione sembra risentire di quella di Guttuso del 1942. Questo incontro con la pittura sacra e con l’arte pubblica rappresenta un unicum nell’esperienza di Orsi, ripreso solo negli anni Novanta da un suo personale omaggio al Cristo morto di Mantegna.
Il vero pittore del futuro sarà un poeta muto che non scriverà niente ma racconterà, senza dettagli e in silenzio, un immenso quadro senza limiti.
Yves Klein
L’arte di Dady Orsi sarebbe totalmente figurativa se non fosse per un gruppo di opere completamente astratte, le cosiddette Lettere dal futuro, eseguite nel 1959. Questo titolo implica un elemento narrativo, presupponendo che le “lettere” siano state inviate da una civiltà del futuro, vergate in una scrittura a noi incomprensibile. Tale scrittura è inventata dall’artista ispirandosi all’Informale Segnico, uno dei linguaggi dell’avanguardia artistica di quei tempi. Se alcune opere di Paul Klee sono state sue precorritrici, in Italia i suoi esponenti principali di questa corrente sono Accardi, Capogrossi, Crippa e Scanavino. Il tema di sapore fantascientifico delle Lettere dal futuro convive però con un’ispirazione proveniente dal passato profondo: il formato di queste opere su carta è quello di un lungo nastro, simile a quello un papiro srotolato (quelli di Qumran erano stati scoperti da poco). Allo spettatore la libertà di immaginare quando siano stati recapitati, con che tecnologia, e quale ne sia il messaggio riposto. Di quei rotoli esposti nel 1960 presso la Libreria San Babila di Milano, oggi rimangono undici esemplari.
Sei l’ospite d’onore del ballo che per te suoniamo. Giro di una danza e poi un’altra ancora. E tu del tempo non sei più signora.
Angelo Branduardi
Tra il 1963 e il 1964 Dady Orsi produce una notevole quantità di opere su carta e tela, eseguite con le tecniche più disparate. Disegni, collages, pastelli e pitture a tempera in varie combinazioni, dove le protagoniste sono fanciulle ispirate alla rielaborazione che alla fine degli anni Cinquanta Picasso fa del capolavoro di Velazquez Las Meninas. Nondimeno, la sintesi rarefatta delle forme rivela parentele anche con lo stile di Giacometti e di Melotti. Qui l’artista si confronta con i grandi maestri dell’arte scegliendo un approccio tenero e infantile, quasi disarmante. Da questa copiosa produzione nasce la Danza Macabra, un ciclo di disegni eseguiti di getto il 9 aprile 1964 e donati alla moglie Megy in occasione del suo ventiseiesimo compleanno. Il susseguirsi delle immagini narra di come la Menina, avendo incontrato la Morte, non fugga ma danzi con lei. In questo ciclo, i due personaggi sono raffigurati sempre con gli stessi tratti, come si fa quando si illustra una storia, ma presentano grande varietà di combinazioni tecniche e cromatiche. Le tavole colorate a pastello hanno una cromia particolarmente moderna: i rosa, i celeste accesi, i lilla chiari eppure vigorosi sono inusuali nell’arte di quel tempo; si imporranno più tardi – negli anni Settanta e Ottanta nell’ambito del design post-moderno. Se le rappresentazioni medievali della danza macabra mostrano il trionfo della morte sull’umanità, in questo caso l’artista decide di cambiare finale e significato della storia attraverso un ironico détournement. Nell’ultimo disegno, infatti, la morte appare come un burattino mosso dalle mani della fanciulla. La morte è dunque sconfitta e disarmata. In questo ciclo si cela un conflitto: da un lato l’ammirazione dell’artista per la pittura grandiosa di Picasso e Velazquez e, dall’altro, la sua attitudine antieroica, che si esprime attraverso la sottigliezza di Giacometti e la leggerezza Melotti. Alla figura classica dell’eroe guerriero, Orsi preferisce una figura di una fanciulla dalla grazia vagamente stupita.
Per quanto tempo è per sempre?
Lewis Carrol
A volte, solo un secondo.
I dodici dipinti che formano questo ciclo indagano altrettanti fugaci momenti del movimento di una donna svestita nell’atto di coricarsi. L’ambizione di impadronirsi del mistero del movimento è comune a molti artisti. Esempio ne sono Balla e Bacon che trovano ispirazione proprio nelle cronofotografie di Eadweard Muybridge. Gli scatti sequenziali del fotografo inglese non sono eseguiti nell’intento di creare l’illusione del movimento (come i fotogrammi di un film), bensì per catturarne gli attimi e congelarli. Se Bacon e Balla usano l’insegnamento di Muybridge per creare impressioni di energia e movimento, Orsi ne disvela il paradosso: la pittura precisa e nitida conferisce staticità all’immagine. Raffaele Carrieri ravvisa in questo ciclo pittorico un altro paradosso. In queste figure dal pallore marmoreo vi scorge il paradossale erotismo della castità. Conoscendo il languido erotismo dei nudi eseguiti nella prima metà degli anni Settanta, il poeta sottolinea la pulizia della figura ottenuta attraverso una stesura del colore netta, entro contorni tesi. La protagonista ‘casta e inattaccabile’, nell’ultima tavola va a scomparire tra le lenzuola. Ai piedi del letto compare l’immagine di un teschio deformato ripresa dal dipinto di Holbein Gli Ambasciatori. Questo simbolismo fa del ciclo una moderna Vanitas. Il riferimento a Muybridge è una delle molte connessioni di Orsi con il mondo della fotografia; essa è oggetto di studio, fonte per la pittura e materiale per comporre le opere di grafica pubblicitaria. Fondamentale nella vita dell’artista è il rapporto con uno dei più raffinati fotografi italiani: Federico Patellani. I due sono uniti da un’amicizia pluridecennale che sconfina nella collaborazione professionale. Dipinto nel 1976, il ciclo viene presentato al pubblico nel 1981 presso la Galleria dei Bibliofili di Piero Fornasetti.
Sono un anello in una catena.
Keith Haring
Tutti gli artisti, anche gli innovatori più radicali, sono sempre consapevoli del legame con il passato. In quanto profondo conoisseur Dady Orsi ama rimettere in scena immagini tratte dalla storia dell’arte. Il suo ultimo ciclo è una riflessione definitiva sul tema della continuità nella storia dell’arte. Il ciclo è costituito da 12 tele di grandi dimensioni. Muovendosi nelle stanze di un museo immaginario, l’artista disvela quei rapporti, quelle somiglianze e parentele che stimolano la sua immaginazione. I singoli dipinti sono dei dialoghi dove un personaggio da un’opera del passato viene raffigurato come se fosse tridimensionale e si potesse muovere tra le stanze del museo immaginario, potendo così osservare altre opere a sé affini. L’opera osservata rimane invece bidimensionale e chiusa nello spazio della propria cornice. Scegliendo le opere cui affidare le parti in questi “dialoghi”, Orsi crea una sua personale antologia di pittura popolata di immagini le cui provenienze storiche spaziano dalla profonda preistoria di Lascaux fino a Picasso. Il padre nobile di questa operazione è André Malraux. Nel libro Le Musée imaginaire Malraux rileva le potenzialità di un dialogo visivo tra opere d’arte provenienti da differenti epoche e paesi d’origine. In tempi più vicini a noi, il critico Philippe Daverio ha sviluppato quest’approccio comparativo in tutta la sua opera di divulgazione nonché nel volume intitolato Il Museo immaginato. L’importanza della mise en scène riconnette Orsi al mondo del teatro, che lo vede giovane scenografo negli anni Quaranta e che tanta parte ha nella sua formazione culturale. Dipinto all’inizio degli anni Novanta, questo ciclo risente del clima postmoderno, in cui il Citazionismo gode di una legittimazione che prima non aveva.