Danza Macabra

Sei l’ospite d’onore del ballo che per te suoniamo. Giro di una danza e poi un’altra ancora. E tu del tempo non sei più signora.

Angelo Branduardi

Tra il 1963 e il 1964 Dady Orsi produce una notevole quantità di opere su carta e tela, eseguite con le tecniche più disparate.

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Disegni, collages, pastelli e pitture a tempera in varie combinazioni, dove le protagoniste sono fanciulle ispirate alla rielaborazione che alla fine degli anni Cinquanta Picasso fa del capolavoro di Velazquez Las Meninas.

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Nondimeno, la sintesi rarefatta delle forme rivela parentele anche con lo stile di Giacometti e di Melotti. Qui l’artista si confronta con i grandi maestri dell’arte scegliendo un approccio tenero e infantile, quasi disarmante. Da questa copiosa produzione nasce la Danza Macabra, un ciclo di disegni eseguiti di getto il 9 aprile 1964 e donati alla moglie Megy in occasione del suo ventiseiesimo compleanno. Il susseguirsi delle immagini narra di come la Menina, avendo incontrato la Morte, non fugga ma danzi con lei. In questo ciclo, i due personaggi sono raffigurati sempre con gli stessi tratti, come si fa quando si illustra una storia, ma presentano grande varietà di combinazioni tecniche e cromatiche. Le tavole colorate a pastello hanno una cromia particolarmente moderna: i rosa, i celeste accesi, i lilla chiari eppure vigorosi sono inusuali nell’arte di quel tempo; si imporranno più tardi – negli anni Settanta e Ottanta nell’ambito del design post-moderno. Se le rappresentazioni medievali della danza macabra mostrano il trionfo della morte sull’umanità, in questo caso l’artista decide di cambiare finale e significato della storia attraverso un ironico détournement. Nell’ultimo disegno, infatti, la morte appare come un burattino mosso dalle mani della fanciulla. La morte è dunque sconfitta e disarmata. In questo ciclo si cela un conflitto: da un lato l’ammirazione dell’artista per la pittura grandiosa di Picasso e Velazquez e, dall’altro, la sua attitudine antieroica, che si esprime attraverso la sottigliezza di Giacometti e la leggerezza Melotti. Alla figura classica dell’eroe guerriero, Orsi preferisce una figura di una fanciulla dalla grazia vagamente stupita.